La 58a Biennale di Venezia

Aperta fino al 24 novembre l’Esposizione internazionale d’Arte che desidera stupire con le nuove tecnologie presentando una situazione eterogenea. Cosa vedere ai Giardini.
di Lara Petricig
fotografie di David Radovanovic
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La più importante esposizione internazionale d’arte contemporanea, è arrivata alla sua cinquantottesima edizione. Nata nel 1895 per promuovere le nuove tendenze artistiche costituisce tutt’ora il trampolino di lancio per gli artisti che riescono a prenderne parte e giungono a Venezia da vari paesi del mondo. Una locuzione proverbiale May you live in interesting times, concede largo spazio alla loro fantasia creativa. Si tratta di una specie di slogan anglo-americano del mondo della politica - utilizzato anche da Hillary Clinton ma l’Occidente desidera attribuirlo alla Cina - che il curatore Ralph Rugoff ha adottato come titolo per la Biennale. Il curatore si chiede come funzioni l’arte in un’epoca di falsità e bugie, mentre per il già noto presidente Paolo Baratta, il titolo può essere “un invito a considerare il corso degli eventi umani nella loro complessità in tempi nei quali troppo spesso prevale un eccesso di semplificazione”. Un velo di ambiguità nel titolo piace soprattutto se, come in questo caso, serve a dilatare l’ambito delle tematiche che possono rientrare senza il rischio di andare fuori tema. La libertà, la pace, le migrazioni e il bisogno di un rifugio, le fake news, il mondo popolato da gentaccia, l’immaginario personale e collettivo, il senso di identità, i problemi di comunicazione, sono alcuni dei temi trattati. Gli artisti in mostra hanno riflettuto sugli aspetti precari della vita contemporanea, delle istituzioni, dei dopoguerra e periodi post coloniali; hanno messo in relazione l’arte con la tecnologia, la società e l’ambiente; affrontato le tematiche contemporanee più preoccupanti come l’impatto dei social media alla crescente disuguaglianza economica, le minacce alle tradizioni fondanti, la rinascita dei programmi nazionalisti e l’accelerazione dei cambiamenti climatici di cui di recente si sono occupate anche le scuole con varie manifestazioni nelle piazze. Tra le forme d’arte presentate troviamo per lo più le nuove tecnologie che si prestano a soluzioni differenti. Sono molte le proposte in questo senso. Indubbiamente gli artisti della Biennale desiderano prima di tutto stupire il visitatore, sorprenderlo senza fornire l’immediata comprensibilità dell’opera che gli pongono davanti. Senza afferrare il duchampiano ribaltamento di senso del passaggio di ogni significato al suo contrario, Ralph Rugoff ricorda che essi “ampliano l’interpretazione che diamo di oggetti e immagini”, così un cancello che si chiude elettricamente può aprirsi e abbattere un muro, oppure delle casse toraciche umane possono fungere da contenitori di oggetti vari. Il visitatore si trova davanti a una mostra che, non trattando un unico argomento, è una situazione decisamente eterogenea, capace di rendere incerti o stimolare pensieri e sensazioni. Le opere sono state realizzate appositamente per la Biennale, con svariati materiali, molte le installazioni e le sculture, le fotografie. Largo spazio ai video, poche le opere pittoriche, pochissime quelle di qualità che decretano l’importanza dell’esecuzione tecnica; uscendo dal padiglione centrale dei Giardini avvolti dalla nebbia artificiale (elemento di performance italiana che coinvolge tutti) a qualcuno potrà anche salire una vaga nostalgia verso la tradizione pittorica dei secoli passati. Alcune idee presentate sono positive, altre sicuramente kitsch, altre ancora non sempre adeguatamente sviluppate, perché non basta portare un’idea, metterla lì e lasciare che sia il visitatore a interpretarla, così come alcuni credono, senza nulla togliere all’intervento dello spettatore che resta comunque necessario alla riuscita dell’opera stessa. Egli viene chiamato in causa e a volte invitato a muoversi, a compiere delle azioni. è coinvolto in tutti i sensi e di suo mette la curiosità di interagire con le installazioni; sedersi e guardare delle immagini attraverso un filtro vetrato oppure entrare in una dimensione 3D facendo la fila in attesa del proprio turno. Le nuove tecnologie sanno emozionare, attirano perché sono nuove, giocano a annullare le regole accademiche banalizzando per esempio il principio dell’imitazione nella rappresentazione, ormai vecchio e stanco, indirizzano quindi verso nuove strade ma c’è bisogno di tempo per la progettazione perché le opere vuote si palpano a vista.
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La Biennale si articola su due grandi sedi, i padiglioni ai Giardini che si trovano poco più avanti di Piazza San Marco, dove avvengono le manifestazioni di carattere nazionale, con 90 nazioni partecipanti tra cui anche quest’anno quattro new entry: Ghana, Madagascar, Malesia, Pakistan, e l’esposizione all’Arsenale: forse più bella, proprio per lo spazio espositivo di più ampio respiro caratterizzato da una grande struttura industriale affacciata sulla laguna. Visitabili indifferentemente prima una oppure l’altra, difficilmente in un solo giorno, tutte e due le location sono allestite con opere realizzate dagli stessi artisti. Poi c’è la performance contro i cambiamenti climatici causati dall’uomo che ha vinto il Leone d’Oro per la migliore partecipazione nazionale, quella della Lituania che si trova alla fermata del vaporetto “Celestia” (nelle vicinanze); per poterla vedere con i bagnanti-cantanti lirici, reclutati tra i veneziani, bisogna recarsi nelle giornate di mercoledì e sabato, altrimenti c’è solo il “il paesaggio”della spiaggia. Il tema dei divertimenti della gente sulle rive vicino all’acqua è preso in prestito dalla pittura impressionista, forse è proprio questo ad avere reso simpatica la cosa. Infine va ricordato che la città di Venezia, come già collaudato nelle ultime edizioni della Biennale, offre una ventina di eventi collaterali, alcuni più strettamente collegati altri che si pongono con proposte solamente parallele all’Esposizione internazionale.
Cosa c’è da vedere ai Giardini? Un padiglione particolarmente coinvol- gente è quello russo con gli allestimenti dell’Hermitage di San Pietroburgo; i pavimenti e il soffitto in legno intarsiato e alle pareti una scenografia ispirata alla pittura fiamminga su pannelli in legno multistrato. Montati sui binari tipo ante di armadio scorrevole, hanno collegati dei cavi di luce rossa che evocano il meccanismo di empatia che si crea tra autore e fruitore del quadro che a volte si interrompe, e la relazione “cade a terra”, come il cavo. La parete protagonista mette in scena su più binari i visitatori-silouette del museo girati di spalle che, come delle marionette, si attivano meccanicamente ogni cinque minuti e ciclicamente ricomincia lo spettacolo. Nel rumore cadenzoso dei meccanismi in movimento, l’atmosfera è quella oscura di un luna park di altri tempi. Lo scenografo cinquantenne Alexander Shishkin-Hokusai, decide di dissacrare il ruolo dell’istituzione museale contemporanea che mettendo in dubbio le convenzioni si risolve in luogo dei divertimenti di un rito collettivo. Misteriosamente coinvolgente, una scena dentro una scena, dove i visitatori della Biennale guardano i visitatori-marionetta del museo. Il paradosso? In realtà è proprio il direttore dell’Hermitage a curare gli spazi russi con il progetto Lc. 15: 11-32, la parabola del figliol prodigo (raccontata nel Vangelo di Luca), rappresentata dalla copia dell’opera di Rembrandt dell’Hermitage Il ritorno del figliol prodigo, alcune grandi sculture ispirate al dipinto e vari bozzetti realizzati dagli studenti dell’Accademia di Belle Arti, due video installazioni religiose con cui il regista Alexander Sokurov contestualizza il grande pittore olandese nell’età contemporanea.
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Nel padiglione francese si sale dal retro entrando in un buio scantinato. L’artista Laure Prouvost, propone una video-arte. Lei, vincitrice del Turner Prize e del Max Mara Art Prize for Women nel 2013, è una straordinaria interprete del costante e bulemico consumo di immagini della società contemporanea. Ha creato 24 minuti di immersione totale al di là dei confini della visione, verso un altrove ora svelato e condiviso, ora interrogato. Un montaggio che è una frenesia di immagini, un cortocircuito di forme e colori, che si intrecciano per interrompere le consuete dinamiche degli eventi. Eccessi di flashback, apparizioni seducenti. Un aneddoto? I sottotitoli proiettati sotto, sulla panchina in “pietra” del salottino. Ma che cosa fa vedere il video? Un viaggio iniziatico verso un luogo ideale, un road trip girato da Parigi a Venezia fino a dentro al padiglione, passando per Nanterre, Marsiglia, Murano etc. in compagnia di rapper e danzatori di hip hop, prestigiatori, acrobati, flautisti, e gente di passaggio. è un video romantico e tragico, ricco di dialoghi e espressioni idiomatiche, la sceneggiatura è in francese e inglese con alcuni passaggi in italiano, arabo e olandese. Un gioco eclettico di codici espressivi della cultura di massa, della musica, del web e del cinema sullo sfondo della società liquida nella quale viviamo, evocata all’inizio dell’allestimento dal mare surreale; una resina celeste sulla quale il visitatore cammina, cosparsa di pesci, ossi di seppia e rifiuti di ogni genere come telefonini e carta stagnola (vetro artistico della Berengo di Murano. Indugiare sui dettagli!) prodotti dal consumismo. Il video propone una via di fuga, con riferimenti al presente, all’esperienza quotidiana, alla descrizione visionaria della natura che si svela e dà colore alla vita e ai valori legati alla semplicità dell’uomo, all’amicizia. La chiave di lettura dell’intero lavoro? è il polipo-totem che con i suoi tentacoli sensoriali trascina tra passato, presente e futuro, abbraccia tutto e sospira. Bello e basta!
La Cecoslovacchia ha chiuso la mostra a causa di un albero caduto sul padiglione, che sfortuna! Il Belgio allestisce un presepio dei lavoratori e un titolo provocatorio Mondo cane. La Spagna indaga su spazio pubblico e spazio privato, insegna a riempire attraverso il respiro uno spazio vuoto (respiro oceanico) con un video-performance di due donne che inspirano e espirano al microfono.
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Il padiglione Giapponese, si presenta all’arrivo come una pausa feng-shui su un salvagente dalla classica forma a ciambella di un vivace arancio uovo. Quindi si può approfittare per sostare cullati dall’aria al suo interno, prodotta da dei compressori. In realtà si scopre poi che l’esposizione prosegue al piano superiore dove riappare il gonfiabile con dodici sedute e chi si siede cambia il registro sonoro di alcuni flauti (di diverso tipo) posti in alto e coordinati meccanicamente (non soffiati dall’uomo). La composizione musicale è creata con il linguaggio binario da singoli pc. Il lavoro è più complesso del previsto, una riflessione sulla relazione uomo-natura che coinvolge un artista, un architetto, un musicista e, un antropologo. Secondo il mito il sole e la luna si incontrano e da un grande uovo nacque una roccia. Quattro pannelli video installati tutto attorno parlano degli tsunamiishi, le rocce portate a riva dal fondo dell’oceano nello tsunami del 1771 sull’isola di Okinawa che ospitano oggi nuove forme vegetali e colonie di uccelli. Video, musica, testo e spazio costituiscono un unicum armonioso a tratti dissonante. Per ulteriori informazioni recarsi sul posto.