Nel segno della Musa -“Ritratti d’artista” Maestri del ‘900 Marco Bravura: quando l'arte musiva incontra la scultura. E l'opera diventa un inno alla bellezza

di Marilena Spataro


Ardea Beirut1212Marco Bravura, artista affermato a livello internazionale. Ravennate, classe 1949, ormai da 10 anni vive e lavora, "ospite" graditissimo, in Russia, dove risiede in una cittadina vicino Mosca.
Maestro, ci parla di questa sua esperienza moscovita. Come e quando è iniziata?
«Nel 2004 stavo realizzando con i miei allievi di allora la fontana Ardea Purpurea per Ravenna quando nel laboratorio ricevetti la visita dell’imprenditore russo Ismail Akhmetov. Per lui una “rivelazione” (parole sue ): gli piaceva il modo in cui il laboratorio era condotto e come si stava procedendo col lavoro, dopodiché fu un continuo invito a raggiungerlo in Russia. I primi anni andavo e venivo frequentemente in occasione di mostre, brevi esperienze di lavoro, poi Akhmetov mi chiese di organizzare un laboratorio e gli spazi dove artisti e studenti da tutto il mondo potessero venire in residenza. Pian piano i tempi di permanenza in Russia si allungavano, c’erano sempre nuovi progetti e collaborazioni. Abbiamo portato il mosaico e il suo linguaggio sulle rive del Baikal, ad Ulan Ude, ad Almaty in Kazakhistan, in Tatarstan, a Kazan, a San Pietroburgo, a Sochi, a Minsk in Bielorussia e ovviamente a Mosca, sempre in eventi di alto livello, quali partecipazioni alla Biennale d’Arte Contemporanea di Mosca e in Musei. Ora la Fondazione Akhmetov si è trasferita nella cittadina di Tarusa, in spazi realizzati con grande cura, immersi nella natura, siamo in un bosco che si perde a vista d’occhio e lungo le rive del fiume Oka. Sono trascorsi più di dieci anni e l’energia, la voglia di fare, mia e di Akhmetov non si sono esaurite, anzi…».
Prima di approdare in Russia ha girato il mondo: lei stesso si definisce da sempre uno spirito libero e nomade, un cittadino del mondo. Da cosa nasce questa sua esigenza e cosa ne deriva artisticamente parlando dal suo “nomadismo”?
«Proprio così: mi riconosco completamente nella frase di Kipling “al mondo ci sono solo due tipi di uomini, quelli che stanno a casa e quelli che non ci stanno” ovviamente sono quello che non sta a casa. Non so darne una motivazione, è così, è sempre stato così: adolescente frequentai la Francia ( i primi gemellaggi tra città europee) e dai 18 anni in poi, quando mi trasferii a Venezia per studiare all’Accademia di Belle Arti, non sono più tornato in famiglia a Ravenna. Anche perchè a 20 anni avevo già la mia famiglia e due figli. Con loro ho viaggiato molto: gli inverni alle Canarie, poi l’India, gli Stati Uniti. L’influenza di tutto questo vedere, osservare, assorbire si è poi manifestata spontaneamente nelle opere che andavo creando, ne è un esempio la serie degli Arazzi, mutuati dai “poveri” arazzi rajasthani, nella cui composizione patch-work ho rivisto le tessere dei miei anni all’Istituto d’Arte. Ma la valenza più importante del viaggiare rimane a mio avviso il percorso, che allarga gli orizzonti fuori e dentro».
A un certo punto della sua carriera decide di dedicarsi soprattutto all'arte del mosaico, iniziando pionieristicamente ad applicare questa antichissima tecnica alla dimensione plastica. Perchè una simile scelta?
«Il mosaico è un pò la mia “pace dei sensi”. Una volta esaurito il dilemma “avanguardia sì avanguardia no, l’arte è morta…l’impeto dell’ego giovanile intellettual-puzzolente”, mi è stato congeniale riconsiderare una tecnica antica per creare qualcosa di contemporaneo (sono vivo, sono per forza contemporaneo). La tecnica musiva mi permetteva di riconsiderare il colore nella scultura, come sappiamo fosse nell’antichità o come avevo visto nell’arte orientale. Poi ci sono stati incontri fortunati, come quello con Tonino Guerra e la progettazione di alcune fontane, appunto, piene di colore e realizzabili solo a mosaico».
Quanto la decisione di esprimersi attraverso il mosaico è stata influenzata dall'essere lei nato e vissuto a Ravenna, notoriamente fin dai Romani una delle maggiori capitali mondiali dell'arte musiva?
Fontana Farfalle part1212«Beh, certamente il privilegio di frequentare fin dall’infanzia basiliche e battisteri che ti inondano di bellezza, ha avuto una innegabile influenza. In seguito l’imprinting della scuola ravennate è stato certo e forte: ho avuto insegnanti straordinari, quali Antonio Rocchi, Francesco Verlicchi, Isotta Fiorentini Roncuzzi, Sergio Cicognani, Giuseppe Ventura».
Quali le tappe salienti del suo percorso artistico che l'hanno condotta alla fama di oggi?
«Ringrazio la sua considerazione, personalmente mi ritengo semplicemente fortunato, perchè ho sempre potuto lavorare e continuo a lavorare, anche 10 / 12 ore al giorno, sempre. Comunque alcune tappe salienti sono certamente le opere pubbliche iniziate dapprima collaborando con Guerra e proseguite su progetti e ideazioni miei. Famoso non so, conosciuto da istituzioni quali banche, Comuni e privati che ti vengono a cercare, questo sì, ed è stato così che ogni lavoro aggiungeva credibilità e fiducia. Poi c’è stata l’esperienza negli Stati Uniti, in seguito in Libano. Akhmetov e la sua fondazione per il sostegno all’istruzione e alla cultura sono per ora la tappa ultima».
Lei ha realizzato sia in Italia che all'estero alcune opere musive monumentali che hanno contribuito alla sua fama. Ci racconta come è andata?
«Creare Ardea Purpurea per Beirut, primo monumento pubblico dopo la distruzione di 17 anni di guerra, ha rappresentato davvero molto per me. Il Ravenna Festival aveva portato a Beirut il concerto “Le vie dell’Amicizia” nel 1998. Grande entusiasmo per il Maestro Muti e il meraviglioso momento che la musica aveva regalato. Come dicevo prima, mi ero conquistato la fiducia di alcune istituzioni e così fui contattato per creare un’opera pubblica a ricordo di quell’evento. Feci una maquette di 40 cm, preparai il progetto. Cristina Muti con la sua generosità fu tra i primi a coglierne il potenziale, ci fu un primo viaggio a Beirut per la presentazione del progetto al Ministro della Cultura e all’Associazione presieduta da Raymond Nahas, che lo avrebbe finanziato. Un anno di lavori e all’inaugurazione erano presenti ambasciatori di 4 nazioni, il clima era di festa, si credeva tanto nella pace appena riconquistata. La soddisfazione era così grande che mi chiesero di tornare e fondare una scuola di mosaico che ancora oggi opera. Il Libano e il popolo libanese sono meravigliosi, ho tutt’ora amicizie che mi sono molto care. Dopo il successo a Beirut, è stata la volta delle istituzioni ravennati a permettermi di realizzare Ardea Purpurea per Ravenna, che nelle parole della signora Muti, rappresenta “il secondo pilastro di quell’ideale ponte di amicizia tra le due sponde del Mediterraneo”».
Come s’inseriscono queste opere scultoree nel più ampio discorso dell’organizzazione dello spazio?
«Per alcune opere lo spazio era stabilito, progettato in collaborazione con architetti e la sfida era portare innovazione nel rispetto di un contesto. Una esperienza molto positiva. In altri casi si è cercato lo spazio giusto per l’opera già realizzata, operazione alquanto difficile, lo scontento è dietro l’angolo, anzi, dietro la rotonda».
Quale è la sua visione del mondo e cosa di essa desidera farci arrivare con i suoi lavori?
Ardea Ravenna1212«La mia natura è di vedere in positivo. Attraverso la bellezza cerco di raccontare il presente con lo spirito di speranza che solo la bellezza può far arrivare. Se fin qui si è creduto che la bellezza avrebbe potuto salvare il mondo, penso sia tempo che debba essere il mondo, cioè noi, a salvare la bellezza rimasta».
Quale il ruolo che una forma espressiva come il mosaico, in buona parte incentrata su tecniche artigianali, può giocare in futuro nell'ambito dell'arte contemporanea, a sua volta sempre più incentrata sulla sperimentazione di nuove tecnologie, quali, ad esempio, arte digitale e videoarte?